Legge 194/78 – aborto – tra diritto e fede.
Con questo articolo voglio mettere a tua disposizione tutto ciò che è necessario perché tu possa farti una tua idea.
Voglio farti una premessa:
“per comprendere il Dna di certe cose e soprattutto per farti un’idea tua e non basata sul sentito dire o sul pensiero altrui è necessario che ti documenti”.
Ti sembrerà una premessa banale, credimi, non lo è.
A tal fine ti offro una breve disamina sul contenuto giuridico della legge 194/78.
Tale legge regolamenta l’interruzione volontaria della gravidanza, ovvero l’esito della scelta della donna di sottoporsi a un intervento che pone fine alla sua gestazione.
Venendo alle ipotesi che consentono l’interruzione volontaria della gravidanza in Italia, occorre distinguere:
– se si è entro il limite dei 90 giorni, la donna deve rivolgersi a un consultorio pubblico o a una struttura sociosanitaria abilitata o a un medico di sua fiducia e prospettare le circostanze per le quali “la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”;
l’iter è complesso poiché teso a evitare che un intervento così delicato venga svolto senza la piena consapevolezza della scelta che si sta compiendo e, in tal modo, a controbilanciare la sostanziale libertà che viene lasciata alla donna nell’interrompere la gravidanza.
In particolare, il consultorio e la struttura socio-sanitaria e\o il medico di fiducia cui la donna si è rivolta devono esaminare le possibili soluzioni dei problemi proposti, aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero a interrompere la gravidanza, metterla nella condizione di far valere tutti i diritti di lavoratrice e di madre e porre in essere tutti gli interventi atti a sostenerla.
La donna è poi invitata a soprassedere per sette giorni, trascorsi i quali può presentarsi presso una sede autorizzata per ottenere l’interruzione della gravidanza.
– se si è dopo i primi novanta giorni, l’interruzione volontaria della gravidanza è invece possibile solo quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (in questo secondo caso, a meno che non sussista la possibilità di vita autonoma del feto).
I processi patologici eventualmente presenti vanno prima accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico, che deve certificarne l’esistenza, salvo il caso in cui vi sia un imminente pericolo per la vita della donna.
In entrambi i casi, la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza è fatta dalla donna. Se questa è minorenne, serve l’assenso di chi esercita su di essa la responsabilità genitoriale o la tutela.
A tale ultimo proposito, va detto che tuttavia, nei primi novanta giorni, è possibile interpellare il giudice tutelare se vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la responsabilità genitoriale o la tutela o se queste, interpellate, rifiutino l’assenso o esprimano pareri difformi.
Infine, se la donna è interdetta, la richiesta di interruzione volontaria della gravidanza può essere presentata anche dal tutore o dal marito non tutore, non legalmente separato.
Questo quanto c’è da sapere da un punto di vista legale.
Da un punto di vista cristiano l’aborto è la soppressione volontaria di una vita umana nel tempo che va dal concepimento alla nascita.
Papa francesco in più occasioni ha parlato dell’aborto in termini netti e inequivocabili, in piena sintonia con la Tradizione della Chiesa. Basti ricordare alcune parole appassionate di Evangelii Gaudium in cui difende la dignità e il diritto ad esistere dei nascituri:
“tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, i quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo.
Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore.
Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano.
Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo”
Evangelii gaudium, 213
Un aspetto inquietante dell’aborto è costituito dall’aborto eugenetico, l’aborto cioè di creature che presentano malformazioni.
Padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, risponde alla domanda di una donna che chiede se ci sono situazioni nella Chiesa in cui l’aborto è ammesso. Nel rispondere elenca tutta una serie di situazioni, come quella appena citata ed altre che ho inteso riassumervi di seguito.
Ciò premesso, sula situazione da ultimo citata, Papa Francesco ha detto parole molto forti, paragonando questa forma di aborto (c.d. di aborto selettivo) alle azioni compiute dai nazisti.
Si tratta di bambini che nasceranno con situazioni di svantaggio fisico e mentale più o meno grave e che, proprio a motivo della loro fragilità, dovrebbero essere accolti con tanto più amore e cura da parte di tutti, ma nelle nostre società fortemente competitive e ostili verso i più “deboli” essi non trovano spazio: in nome di quella che il Santo Padre chiama la
«cultura dello scarto».
Il programma nazista di eliminazione degli handicappati e malati di varia natura, fisica e psichica, poi esteso a gruppi e razze ritenute indesiderabili,
rivive oggi sotto nuove forme.
Nell’antilingua che nasconde la verità delle cose, questi aborti vengono spesso definiti terapeutici, ma è evidente che non sono per niente terapeutici perché
non curano nessuno ed eliminano, invece, creature deboli e prive di difese.
Altra situazione considerata da Padre Maurizio Faggioni è l’espressione aborto terapeutico, che potrebbe applicarsi più propriamente a quelle interruzioni di gravidanza che sono operate per evitare gravi rischi a madri.
In questi casi l’aborto non è procurato per un rifiuto del bambino, ma per evitare rischi seri alla madre, però aborto resta. Il medico di buona coscienza, però si comporta diversamente: egli non antepone una vita all’altra, ma si prende cura di entrambe, porta avanti la gravidanza per quanto possibile, anticipando il parto quando il feto sia viabile (ossia, in grado di vivere autonomamente).
Diverso il caso che un aborto conseguisse – come effetto collaterale grave e non voluto – a un intervento terapeutico posto per curare una patologia, come potrebbe essere una chemioterapia per un tumore. La perdita del bambino non sarebbe da attribuirsi ad un atto volontario di soppressione.
Ancora diverso il caso in cui non ci fosse il dilemma «o la mamma o il bambino», ma purtroppo il bambino non fosse salvabile in nessun modo, come per una gestosi ribelle alle terapie: l’anticipo del parto, anche in tempi di non sufficiente maturità del feto, si presenta allora come l’unico bene possibile.
Tra le situazioni drammatiche nelle quali si prospetta l’aborto volontario Padre Maurizio Faggioni cita anche l’aborto dopo stupro. In pace, in guerra, dopo violenza su donna non consenziente, dopo atto sessuale estorto a donna mentalmente handicappata: tante storie e tanto dolore.
Nessuno vuole ergersi ad accusatore di donne terrorizzate e umiliate che vivono una gravidanza possibile o in atto come un prolungarsi della violenza invasiva dello stupratore, ma non possiamo chiudere gli occhi di fronte ad una verità:
la soppressione di questa creatura, indesiderata e concepita in un modo indegno della persona, è una violenza che si aggiunge ad una violenza. In questi frangenti diventa essenziale il consiglio e il sostegno di persone competenti e generose.
Queste sono solo alcune delle situazioni delicate che chiedono di essere affrontate con misericordia, delicatezza e saggio discernimento, ma sia chiaro che in nessuna situazione la coscienza dei credenti può giustificare o approvare la soppressione volontaria di una vita umana che, fragile e innocente, è affidata alle nostre mani.
Come direbbe Papa Francesco, “tutto il male operato nel mondo si riassume in questo: il disprezzo per la vita”.
Il Santo Padre più volte ci ha ricordato come “interrompere la gravidanza significhi farne fuori uno”,
e benché la 194 all’articolo 1, nel tracciare gli obiettivi fissati dal legislatore, dopo aver specificato che “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”,
preveda che “L’interruzione volontaria della gravidanza … non è mezzo per il controllo delle nascite” e che quindi “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”,
DI FATTO DISCIPLINA L’ABORTO QUALE DIRITTO.
Ed è proprio un approccio contraddittorio che consente la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti.
“Come può essere terapeutico, civile o umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare? È giusto fare fuori una vita umana per risolvere un problema?”
Cosa ne pensi tu?
Ti dico cosa ne penso io e lo faccio in qualità di avvocato e di cristiana.
La ratio della 194 è chiara e immutabile: “tu donna hai il diritto di uccidere tuo figlio”.
Detta così ha un certo effetto vero?
A volte le cose dette come un pugno in pieno viso ci fanno vedere la realtà per quello che è.
Ti faccio riflettere:
la legge 194 stabilisce che l’aborto è un diritto e questo posso affermarlo per tre ragioni:
- le strutture sanitarie hanno il dovere di operare l’aborto ove richiesto, se esiste un dovere esiste anche un diritto, quello della donna di decidere della vita di un altro essere umano, indifeso e debole. Se così non fosse non avrebbe avuto senso inserire l’istituto dell’obiezione di coscienza per consentire al medico di astenersi dal praticare aborti.
- Ampia giurisprudenza riconosce ormai da tempo il risarcimento in sede civile per nascita non desiderata. Il bambino nato con qualche malformazione non può più essere ucciso allora mamma e papà si rivolgono al giudice per chiedere di essere risarciti per la nascita non voluta. Detto in altri termini se mamma e papà avessero saputo che il bambino non era perfetto avrebbero praticato l’aborto.
Questo cosa vuol dire?
Che se viene riconosciuto il diritto al risarcimento vuol dire che previamente è riconosciuto il diritto della mamma di abortire e quindi il diritto di essere informata sulle condizioni di salute del feto si fonda sul diritto di abortire.
Sembra contorto? Spero tanto tu riesca a seguirmi.
- C’è un terzo motivo per cui a mio avviso la legge tutela il diritto di abortire i giudici si riferiscono all’aborto come un diritto e questa è la tendenza dominante anche in Europa dove addirittura di studiano progetti di legge per dichiarare l’aborto un diritto fondamentale.
C’è chi ritiene che la pratica abortiva, così come disciplinata dalla 194, vada interpretata come un reato non imputabile per alcune cause di giustificazione. Ma il reato di aborto è stato abrogato formalmente con la legge stessa, e poi sono previste delle sanzioni sempre dalla 194 in relazione ad alcune procedure di aborto non all’aborto in sé. In sintesi abortire è un diritto ma solo se mamma segue determinate procedure, il cui mancato rispetto fa scattare una pena.
Dunque mi chiedo perché tanta ostinazione nell’affermare che la legge 194 sancisca l’aborto come un diritto?
Mi rispondo dicendo che in casa cattolica si vuole far passare che la legge 194 sia una legge buona e come tale recuperabile, infatti non prevede l’aborto come un diritto ma come un reato non punibile laddove si verificassero determinate condizioni.
Non uccidere è un comandamento divino che conferma la sacralità della vita umana, come dono di Dio, che nessuno, in nessuna circostanza, ha il diritto di togliere o manipolare o disprezzare.
Uccidere è un peccato contro Dio, che è Signore della vita, contro noi stessi e contro il prossimo.
Vale la pena di accogliere ogni vita perché ogni uomo vale il sangue di Cristo stesso. Non si può disprezzare ciò che Dio ha tanto amato!»,
Non disprezzare l
a vita altrui, ma anche la tua, perché anche per essa vale il comando: “Non uccidere”.
E se sei giovane, non disprezzare la tua esistenza! Smetti di rifiutare l’opera di Dio! Tu sei un’opera di Dio!, Non vi rovinate, non vi disprezzate con le dipendenze che vi rovineranno e vi porteranno alla morte!.
E a te che sei donna e come tale capace di donare la vita, voglio ricordare che sei strumento di Dio nel mettere al mondo una vita, che la nascita è un Mistero meraviglioso e che la scelta dell’aborto inevitabilmente si ripercuote sulla tua esistenza, nel tuo ventre. Pertanto quello che ti auguro è di trovare delle persone che possano supportarti e sostenerti semmai dovessi trovarti in una situazione di dubbio. Testimoni del dolore inevitabile sono tutte quelle donne che per un motivo o per un altro hanno praticato l’aborto.
Una mia cara amica un giorno mi disse:
“Oggi mio figlio avrebbe compiuto 18 anni e non c’è giorno che passa che io non pensi a lui”.
Questo articolo lo dedico a Voi